Be[e] Italy è la collezione di gioielli creata dall’architetto Francesco Schiavello (SAO), utilizzando modelli esistenti in natura e codici definiti da software parametrici. Questo processo emula i sistemi biologici e i fenomeni naturali, finora indecifrabili, temi che accomunano i monili in legno alle strutture organiche e fluide definite dal giovane architetto. La collezione, presentata durante la seconda edizione della Trieste Mini Maker Faire, s’ispira a forme e geometrie che le api sono in grado di creare: infinite configurazioni, caratterizzate dall’alternanza di pieni e vuoti e dallacombinazione irregolare di 110 moduli (parametric honeybees). Le celle esagonali definiscono la forma delle regioni italiane e sono realizzati in tre strati di betulla.

GIOIELLI SMOG FREE: UN ANELLO CON 1000 M3 DI ARIA PULITA

In un’intervista, il designer calabrese ci racconta del design sociale, dell’iter progettuale e degli artigiani digitali.

La sfida dei designer è tradurre i possibili e desiderabili sviluppi progettuali in storie reali, in manufatti che raccontano una metafora o, come nel caso di Be(e) Italy, un messaggio di denuncia. Be (e) Italy: piccolo momento d’arte ma anche di riflessione?

Penso che la sfida dei designer sia riuscire a trovare un giusto compromesso tra la forma e la funzione dell’oggetto, rispettando la natura, e allo stesso tempo trasmettere un’emozione attraverso il risultato finale. Ogni nuovo progetto nasce da un’emozione. Da un luogo, un contesto, provo a estrapolare una metafora della quale ricerco componenti razionali, oppure parto da una precisa imitazione dei processi naturali, per denunciare un problema. In questi anni ho spesso usato i due metodi. Per un progetto in fase di realizzazione in Brasile (Auditorium Portonave, 2012 n.d.r.) ho utilizzato la metafora di un pesce tropicale brasiliano per elaborare l’aspetto formale dell’opera architettonica, che si trova appunto sul mare. Nel caso di Be[e] Italy ho utilizzato il nido d’ape per denunciare un problema sociale: la moria delle api. In ambedue i casi ho legato il design alla natura sotto due aspetti – estetici e funzionali – molto diversi tra loro.

Molti architetti, tra cui Zaha Hadid per Georg Jensen, firmando gioielli di lusso come opere in miniatura coerenti con la propria filosofia, hanno aperto nuovi scenari per il “jewelry market”: architetture indossabili accessibili al pubblico. Qual è, se c’è, la differenza tra progettare oggetti architettonici e gioielli?

Penso che la collezione di gioielli di Zaha Hadid riprenda esattamente l’aspetto formale delle sue opere di architettura, opere uniche al mondo che viste in miniatura possono diventare dei veri gioielli, apprezzati da grandi marchi come Jensen. A mio avviso la differenza tra progettare architettura e gioielli risiede nel fatto che nell’architettura il risultato oltre che estetico deve essere funzionale, poiché il design è il “contenitore” degli uomini invece per i gioielli il risultato è principalmente estetico, poiché l’uomo è il contenitore del design. Ci sono però anche molti parallelismi tra le due forme di progettazione: l’attenzione alle esperienze visive e tattili che l’oggetto può trasmettere, la ricerca delle forme, considerate in astratto.

Quanto tempo è stato necessario per realizzare la collezione? Quale l’iter, dall’idea all’oggetto attraverso la progettazione computazionale?

Per ogni collezione il tempo varia da progetto a progetto. Nel caso di Be[e] Italy l’iter progettuale è partito da una denuncia, quindi dall’ambiente in cui vivono le api: le celle. Ho iniziato a studiare le diverse bucature che le api formano sulle celle e tramite l’uso di programmi che utilizzano processi digitali ho elaborato circa 20 disegni di gioielli, che successivamente ho realizzato per mezzo di macchine laser a controllo numerico. In breve, per la realizzazione dei gioielli i vari iter che seguo sono:

  1. la ricerca di scientifica d iforme biologiche, alla quale segue l’elaborazione al computer e la progettazione computazionale e infine la realizzazione con stampa 3D, taglio laser, la fusione in laboratorio di metalli;
  2. la ricerca in natura di piccole microsculture naturali, alla quale segue l’elaborazione manuale, lo scanner 3D e quindi la fusione in laboratorio di metalli.

Crede che l’animazione 3d e la progettazione parametrica possano cambiare il modo di pensare, realizzare e risolvere i problemi?

Penso di sì. In molti studi di architettura ha già cambiato il modo di pensare un’opera architettonica. In poco tempo si ha la possibilità di variare alcuni parametri in strutture e architetture molto complesse e realizzare i vari pezzi con macchine a controllo numerico. Fino a qualche anno fa tutto questo non poteva essere possibile.

Nel campo della moda, nell’esposizione al Metropolitan Museum of Art “Manus x machina, Fashion in an Age of Technology”, ci si interroga sul valore aggiunto dell’artigianato rispetto alle produzioni con stampanti 3d e nuove tecnologie. Nell’era della rivoluzione digitale, della computazione parametrica e saldatura ad ultrasuoni, ha ancora senso fare questo paragone? O forse, il valore dell’oggetto non è dato dalla tecnologia (mano o macchina) con cui è realizzato, ma dal processo che sta alle spalle?

Ritengo che le nuove tecnologie rappresentino un’evoluzione della strumentazione” a disposizione dei designer/stilisti. Le mostre come “Manus x machina” servono a farci riflettere sul modo in cui oggi si realizzano molti capi, ma non si deve sottovalutare l’importanza del saper fare. Senza la manualità dell’artigiano, le possibilità offerte dalle macchine rimangono meri esercizi di fantasia.

Il curatore di questa mostra, Andrew Bolton, apre alcune discussioni attuali: “Può la macchina anticipare la moda senza la mano”? E se, spesso sono gli errori a creare delle opere d’arte, “possono le macchine commettere errori?”

Le macchine sono solo un’evoluzione degli utensili, uno strumento che può potenziare le capacità dell’uomo, una macchina senza le mani dell’uomo rimane uno strumento insensato. Io non immagino una macchina senza uomo, le opere d’arte non possono essere create dalle macchine o da un errore, ma dall’intuito delle persone che, oltre ad avere una capacità artistica, devono avere capacità tecnologica, la bravura sta nel saper mettere insieme (macchina + mano). L’una non può escludere l’altra, l’uso delle due tecniche è il risultato dell’opera o del prodotto.

La possibilità infinita di cambiare settaggi e creare geometrie sempre più complesse partendo da elementari operazioni facilita, condiziona o indirizza verso forme e concetti nuovi? C’è davvero controllo sul prodotto finale?

Un bravo designer o architetto ha (quasi) sempre il controllo sul prodotto finale, le nuove tecnologie e software computazionali possono aiutare a sviluppare dei concetti nuovi che già hai in mente, il software non condiziona, ma aiuta ad avere il controllo della forma anche se le geometrie possono essere complesse.

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

fonte: architettura ecosostenibile ( intervista di Elisa Stellacci )

https://www.architetturaecosostenibile.it/design/accessori-moda/natura-software-gioielli-723